17 Ottobre 2021
I SEI MILIONI…
23 Febbraio 2024
IL SIONISMO E IL GENOCIDIO DEI PALESTINESI (1948-2024)
di Don Curzio Nitoglia
Introduzione
Padre Giovanni Sale ha scritto un interessante articolo su “La Civiltà Cattolica” (quaderno 3854 del 15 gennaio 2011) intitolato “La fondazione dello Stato di Israele e il problema dei profughi Palestinesi” (pp. 107-120).
Innanzitutto, ci ricorda che i primi “kamikaze terroristi” furono proprio gli Israeliani e non gli Arabi, come oggi si pensa comunemente. Infatti, il 22 luglio del 1947 l’Irgun fece scoppiare una carica di dinamite nell’Hotel King dove risiedeva il “Quartier generale” della Gran Bretagna, uccidendo 91 persone [l’attentato all’Hotel King David di Gerusalemme avvenne in realtà il 22 luglio 1946 e causò, secondo altre fonti, 96 morti e oltre 50 feriti di varie nazionalità ndr].
Seguirono altri attentati [non era certo il primo: tra il mese di marzo 1937 e il mese di aprile 1948 l’Irgun mise a segno 71 attentati terroristici ndr: v. elenco in appendice] e così l’Inghilterra decise, nel febbraio del 1947, di rinunciare al mandato sulla Palestina (p. 108). Inoltre ricorda che già nel 1946 vi fu una forte “pressione” (“lobbyng”) della comunità ebraica americana sul Presidente Truman, il quale per la nuova campagna presidenziale aveva bisogno dei soldi e dei voti degli ebrei-americani.
Nel medesimo anno anche l’Urss di Stalin si dichiarò favorevole alla spartizione della Palestina. Il “Dipartimento di Stato” statunitense non era d’accordo con l’“Amministrazione presidenziale”, ma fu proprio grazie all’intervento dell’ “Amministrazione americana” che il deserto del Negev fu incorporato allo Stato di Israele e non alla Palestina come avrebbe voluto il “Dipartimento di Stato”. Perciò, già nel 1946 era stato deciso, sulla pelle dei Palestinesi, che Israele avrebbe occupato «il 55% della Palestina, con una popolazione israelita di 500 mila persone». Ora, ci si domanda, com’era possibile, secondo giustizia, che il 37% della popolazione ebraica ottenesse il 55% del territorio palestinese, del quale sino ad allora aveva posseduto solo il 7%?
La risposta è sempre e solo la solita: la shoah del popolo ebraico gli dava il diritto a una Patria. Ma, si ribatte, cosa c’entravano i Palestinesi con il torto subìto dagli ebrei in Europa nord-orientale? Uno storico palestinese ha scritto a proposito: «I Palestinesi non capivano perché si facessero pagare a loro i conti dell’olocausto. […]. Non capivano perché fosse ingiusto che gli Ebrei restassero minoranza in uno Stato palestinese unitario e invece fosse giusto che quasi la metà degli Arabi palestinesi diventasse dalla sera alla mattina una minoranza soggetta a un potere straniero». Evidentemente la legge non è eguale per tutti.
Il peso della shoah.
Come si può costatare, esso è stato enorme, politicamente ed economicamente (risarcimenti), militarmente (guerre che ancora oggi perdurano e forse termineranno in un grande conflitto nucleare), religiosamente (giudaizzazione dell’ambiente cristiano e cattolico a partire dal Vaticano II). L’Occidente e l’Europa, caduti in un senso di colpa collettiva “psicanaliticamente indotta”, hanno pensato di riparare al male fatto (o fatto credere dalla psicanalisi di massa della “psicopolizia”).
La shoah [di cui si attendono tuttora prove valide ndr] continua a pesare, ma si sente qualche scricchiolio, che si cerca di puntellare con leggi penali e “storicide”, specialmente di fronte al genocidio dei Palestinesi perpetrato dallo Stato d’Israele (7 ottobre 2023 – febbraio 2024).
La prima guerra arabo-israeliana.
Si può dividere in due fasi:
– la prima dal novembre 1947 al 14 maggio 1948;
– la seconda dal 15 maggio del 1948 all’ottobre del 1949.
La prima fase fu soprattutto una guerriglia, ma assai cruenta, basti pensare al massacro di 100 civili Palestinesi da parte dell’Irgun, il 9 aprile 1948, nel villaggio di Deir Yassin [in realtà furono 254 i palestinesi assassinati senza che avessero potuto opporre alcuna reazione alla deportazione: tra questi tante donne e bambini – 40 neonati e 30 bambini – che vennero allineati su un muro e crivellati di colpi tra le risa dei terroristi di Stern ndr].
La seconda parte, invece, fu una vera e propria guerra convenzionale. Essa fu caratterizzata da un episodio cruciale che determinò la sconfitta degli Arabi, in maniera scorretta, da parte degli Israeliani. Infatti, l’11 giugno del 1948 il conte svedese Folke Bernadotte (che poi fu assassinato da alcuni terroristi del Lehi, o Banda Stern) riuscì a negoziare una tregua. Essa fu accolta da Israeliani e Palestinesi ma, «Israele approfittò di tale periodo, violando i termini della tregua, per acquistare dalla Cecoslovacchia una grande quantità di materiale bellico del III Reich tedesco, rimasto inutilizzato dopo la seconda guerra mondiale. Quando la guerra riprese l’8 luglio del 1948, l’esercito israeliano, utilizzando le nuove forniture europee (e statunitensi), nel giro di pochi giorni ebbe il sopravvento sugli eserciti arabi. […]. In questo modo furono occupati molti villaggi arabi e le città di Lydda e Ramle» (p. 114). [alla fine saranno 531 i villaggi palestinesi cancellati dalla faccia della terra, migliaia i morti tra la popolazione civile palestinesi e oltre un milione i deportati ndr].
Il genocidio dei Palestinesi da parte d’Israele.
Iniziò proprio allora. Infatti, la città di Lydda fu occupata e vi fu una vera e propria «pulizia etnica» poiché circa 70mila abitanti di Lydda [dopo i massacri avvenuti in città ndr] furono espulsi e spinti a piedi nella “marcia della morte” verso Ramallah, e, sotto il sole estivo, morirono numerosi bambini e vecchi. L’ordine di espulsione fu dato personalmente da Ben Gurion il 12 luglio.
È lecito parlare di “genocidio”? Oppure l’unico genocidio è quello del popolo ebraico da parte del III Reich germanico? Nella storia vi sono innumerevoli genocidi; quasi ogni guerra ha comportato un genocidio o una “pulizia etnica” da parte dei vincitori nei confronti degli sconfitti. Per esempio, cinque milioni di Amerindiani o Indiani d’America furono sterminati in quanto Amerindi (“American Indian”) dai coloni inglesi e olandesi che occuparono il nord America nel XVII-XVIII secolo. Un milione e mezzo di Armeni, tra il 1894 e il 1918, furono massacrati in quanto Armeni e cristiani dagli Ottomani turchi e musulmani [dal 1919 al 1939 58.000 tedeschi furono massacrati dai polacchi nei territori germanici assegnati alla Polonia dopo la I G.M. ndr]. Gli Italiani furono massacrati e gettati vivi nelle foibe in Istria, tra il 1945-46, dai “titini” slavi a migliaia solo perché Italiani. Il decennio che iniziò col 1990 vide la “pulizia etnica” di centinaia di migliaia tra Serbi, Bosniaci, Kossovari, Croati. Se si pensa all’Africa, cosa dire del Ruanda, degli Usu e Tutzi, i quali si sono massacrati reciprocamente – arrivando attorno alla cifra di 2 milioni di vittime – sino a qualche anno fa?
Eppure non è “politicamente corretto” parlare di genocidio per costoro. Sembra che vi sia stato un solo genocidio, anzi “IL” genocidio del popolo ebraico nel 1942-45. Chi lo mette in dubbio così com’è presentato dalla propaganda dei vincitori, o cerca di stabilire cifre, studiare la questione, in alcuni Paesi va in galera. Ora, perché non lasciare agli storici e agli scienziati la possibilità e libertà di ricercare da vicino i luoghi, i documenti, il corpo del reato? Altrimenti, anche i Palestinesi potrebbero invocare un “reato di negazionismo” del genocidio che hanno sofferto nel 1948 e continuano a soffrire ancora oggi a Gaza (una striscia desertica, che racchiude – come un campo di concentramento – due milioni e mezzo di persone, bombardate, ripetutamente dall’aviazione israeliana, dal 7 ottobre 2023 e senza sosta, con 26mila morti Palestinesi [alla data odierna sono circa 30.000, ma non è certo finita ndr], di cui la metà bambini).
La ‘shoah’ o ‘nakba’ palestinese.
«Sta di fatto che alla fine della prima guerra del 1948, meno della metà della popolazione palestinese si trovava ancora nella terra nativa. […]. Sul numero dei profughi si è molto discusso in passato: gli Israeliani parlavano di circa 500mila profughi, i palestinesi invece di un milione e mezzo di persone espulse. Secondo gli storici contemporanei il numero dei profughi si aggirerebbe attorno ai 700-800 mila» (pp. 115-116). Come si vede si può lecitamente discutere, studiare, ricercare le fonti sulla reale entità della “catastrofe” palestinese, ma per legge è vietato agli storici di far ricerca storica sulle fonti della “catastrofe” ebraica del 1942-45. Inoltre anche per i Palestinesi vale la domanda che l’Europa si pone sulla propria cecità di fronte alla catastrofe ebraica del 1942-45: «Come mai un numero così grande di persone nel giro di pochi mesi ha dovuto abbandonare la propria terra senza che nessuno in occidente se ne preoccupasse? La tesi ufficiale sostenuta da Israele è che i Palestinesi abbandonarono “volontariamente” il loro territorio. […]. I Palestinesi, al contrario, hanno sempre sostenuto che i profughi erano stati espulsi in modo sistematico e premeditato dall’esercito israeliano» (p. 116).
Revisionisti palestinesi.
Il primo storico che ha confutato la vulgata israeliana sul problema dei profughi palestinesi è stato il palestinese Walid Khalidi nel suo libro succitato “All That Remains” del 1992. «Egli, consultando gli archivi palestinesi e raccogliendo la memoria dei testimoni, ha ricostruito in modo analitico – riportando l’elenco esatto dei villaggi distrutti – la “catastrofe”, cioè la “nakbah”, vissuta dal suo popolo. Tale studio ebbe poca eco tra gli storici occidentali, e si continuò a ripetere la vulgata israeliana dell’“esilio volontario dei Palestinesi”» (p. 116).
Poi lo storico israeliano Benny Morris ha dedicato tre volumi a questo tema (Vittime; 1948: Israele e Palestina tra guerra e pace; Due popoli una terra); secondo Morris i Palestinesi non sarebbero stati cacciati di proposito, ma conseguentemente alla guerra arabo-israeliana avrebbero preferito l’esilio allo stato di conflitto ed avrebbero lasciato la Palestina spinti dalla guerra e dalle “rappresaglie” dell’Haganah. L’espulsione dei Palestinesi, secondo Morris, non sarebbe mai stata decisa e decretata dal Governo di Tel Aviv e dall’Esercito israeliano, ma sarebbe avvenuta in quelle determinate circostanze di guerra “civile”.
Infine lo storico israeliano Ilan Pappe nel suo libro “La pulizia etnica della Palestina” ha confutato la tesi di Morris e si è avvicinato a quella di Khalidi, dimostrando – documenti alla mano – che il progetto d’espulsione fu pianificato il 10 marzo 1948 a Tel Aviv, nella sede dell’Haganah dai Governanti e Militari d’Israele: «Gli ordini erano accompagnati da una minuziosa descrizione dei metodi da usare per cacciare via la popolazione con la forza: assedio e bombardamento dei villaggi, incendi di case, espulsioni, demolizioni, e infine collocazione di mine tra le macerie per impedire agli abitanti espulsi di ritornare»; in caso di resistenza «le milizie armate dovranno essere eliminate e la popolazione civile espulsa fuori dei confini dello Stato».
Padre Giovanni Sale commenta: «Tali ordini furono poi trasmessi alle singole brigate che avrebbero provveduto a metterli in atto: il piano era il prodotto inevitabile della determinazione sionista ad avere un’esclusiva presenza ebraica in Palestina e questo poteva essere realizzato soltanto eliminando la presenza dei nativi dal territorio» (p. 118). Ilan Pappe conclude: «L’obiettivo principale del movimento sionista nel creare il proprio Stato nazionale era la pulizia etnica di tutta la Palestina».
Questa verità storica, dimostrata da fatti e documenti, viene ancor oggi sistematicamente negata.
Epilogo.
Riflettendo a mo’ di conclusione su quanto letto si può dire con tutta certezza e senza paura di essere tacciati quali nazisti o antisemiti, ciò che segue:
1°) Coloro i quali parlano di “pulizia etnica” fatta dagli Israeliani nei confronti dei Palestinesi sono uno storico ebreo vivente attualmente in Israele, Ilan Pappe, che ha scritto un libro intitolato precisamente “La pulizia etnica dei Palestinesi” e uno storico gesuita professore alla Pontificia Università Gregoriana, padre Giovanni Sale, che ne ha scritto su “La Civiltà Cattolica”, la quale è l’organo ufficiale della S. Sede e le cui bozze vengono lette e corrette dalla Segreteria di Stato vaticana prima di essere pubblicate. Quindi gli autori citati sono storici seri e professionalmente qualificati, non sono estremisti antisemiti di destra o di sinistra, ma hanno raccolto fatti, documenti e testimonianze per scrivere e provare quanto sopra.
2°) Inoltre in un certo qual modo la S. Sede ha finalmente ritenuto opportuno pubblicare la verità, anche se “politicamente scorretta”, del genocidio subìto dai Palestinesi da parte del neonato Stato di Israele.
3°) La parola “pulizia etnica” o “genocidio” può sorprendere se non è applicata al popolo ebraico come vittima ma come Stato carnefice, che ha pianificato assieme all’Esercito israeliano l’espulsione di un popolo e l’uccisione di molti suoi membri per impossessarsi della sua terra. Tuttavia Ilan Pappe ne fornisce tutte le prove.
4°) La cifra di questo genocidio subìto dai Palestinesi è liberamente discussa e ricercata scientificamente, senza dover cadere per questo sotto la mannaia di leggi liberticide e “storicide”, come succede per la shoah degli ebrei. Infatti, gli autori palestinesi parlano di 1 milione e mezzo di vittime tra morti e sfollati; invece, gli storici “politicamente corretti”, sia ebrei che non-ebrei, parlano di 500 mila vittime, ossia un terzo di quelle date dai Palestinesi; mentre, gli storici attuali, anche israeliani, che cercano la verità dei fatti e non la “correttezza politica”, parlano di circa 800 mila vittime. Perché, allora, ci si domanda, non è lecito fare la stessa cosa riguardo alla cosiddetta “shoah”? Fare storia e non “politicismo-corretto” è un reato, un peccato? Purtroppo sì. Infatti, si finisce in prigione.
5°) Infine il nodo che resta e che se, non viene sciolto porterà, molto probabilmente, alla guerra nucleare – dal Medio Oriente al Mondo intero – è come mettere d’accordo Palestinesi e Israeliani. È giusto che Israele possieda l’80% della Palestina e che i Palestinesi siano confinati in Cisgiordania [di cui è già in atto l’occupazione da parte dei “coloni” israeliani ndr] e nel deserto di Gaza (dalla quale stanno per essere definitivamente espulsi), che è un vero e proprio “campo di concentramento”? Si può invocare la ‘shoah’ per giustificare la ‘nakba’? Cosa c’entrano i Palestinesi con i Tedeschi?
Tratto da: https://doncurzionitoglia.wordpress.com
APPENDICE
Attentati terroristici compiuti dall’Irgun tra il 1937 e il 1948
1937, marzo | Due arabi uccisi sulla spiaggia di Bat Yam. |
1937, 14 novembre | 10 arabi uccisi dalle unità di Irgun che lanciano attacchi intorno a Gerusalemme (“Domenica nera”). |
1938, 12 aprile | 2 arabi e due poliziotti britannici uccisi da una bomba su un treno a Haifa. |
1938, 17 aprile | 1 arabo ucciso da una bomba esplosa in un caffè di Haifa. |
1938, 17 maggio | 1 poliziotto arabo ucciso in un attacco a un autobus sulla strada di Gerusalemme-Hebron. |
1938, 24 maggio | Tre arabi uccisi a Haifa. |
1938, 19 giugno | 18 arabi (9 uomini, 6 donne e 3 bambini) uccisi e 24 feriti da una bomba lanciata in un affollato mercato arabo ad Haifa. |
1938, 23 giugno | Due arabi uccisi vicino a Tel Aviv. |
1938, 26 giugno | 7 arabi uccisi da una bomba a Jaffa. |
1938, 27 giugno | 1 arabo ucciso nel cortile di un ospedale di Haifa. |
1938, 5 luglio | 7 arabi uccisi in diversi attacchi a Tel Aviv. |
1938, 5 luglio | 3 arabi uccisi da una bomba esplosa su un autobus a Gerusalemme. |
1938, 5 luglio | 1 arabo ucciso in un altro attacco a Gerusalemme. |
1938, 6 luglio | 18 arabi e 5 ebrei uccisi da due bombe simultanee nel mercato arabo del melone di Haifa. Più di 60 persone sono rimaste ferite; il totale di oltre due giorni di rivolte e rappresaglie è stato di 33 morti, 111 feriti. |
1938, 8 luglio | Quattro arabi uccisi da una bomba a Gerusalemme. |
1938, 16 luglio | 10 arabi uccisi da una bomba in un mercato a Gerusalemme. |
1938, 25 luglio | 43 arabi uccisi da una bomba in un mercato di Haifa. |
1938, 26 agosto | 24 arabi uccisi da una bomba in un mercato di Jaffa |
1939, 27 febbraio | 33 arabi uccisi in molteplici attacchi, di cui 24 da bomba nel mercato arabo nel Suk Quarter di Haifa e 4 da bomba nel mercato ortofrutticolo arabo a Gerusalemme. |
1939, 29 maggio | 18 persone ferite, tra cui 13 arabi e tre poliziotti britannici, da mine esplose al cinema Rex di Gerusalemme. |
1939, 2 giugno | 5 arabi uccisi da una bomba alla Porta di Giaffa a Gerusalemme. |
1939, 12 giugno | Un artificere britannico ucciso da una bomba che cercava di disinnescare in un ufficio postale di Gerusalemme. |
1939, 16 giugno | 6 arabi uccisi in diversi attacchi a Gerusalemme. |
1939, 19 giugno | 20 arabi uccisi da esplosivi montati su un asino in un mercato di Haifa. |
1939, 29 giugno | 13 arabi uccisi in diversi attacchi con armi da fuoco intorno a Jaffa nel giro di un’ora. |
1939, 30 giugno | 1 arabo ucciso in un mercato a Gerusalemme. |
1939, 30 giugno | Due arabi uccisi a Lifta. |
1939, 3 luglio | 1 arabo ucciso da una bomba in un mercato di Haifa. |
1939, 4 luglio | Due arabi uccisi in due attacchi a Gerusalemme. |
1939, 20 luglio | 6 arabi uccisi in diversi attacchi a Tel Aviv |
1939, 20 luglio | 3 arabi uccisi a Rehovot. |
1939, 26 agosto | 2 agenti di polizia britannici uccisi da una bomba collocata sul bordo di una strada a Gerusalemme. |
1944, 27 settembre | Circa 150 membri dell’Irgun attaccano quattro stazioni di polizia britanniche; sconosciuto il numero delle vittime. |
1944, 29 settembre | 1 alto ufficiale di polizia britannico del Dipartimento di intelligence criminale assassinato a Gerusalemme. |
1945, 1 novembre | 5 locomotive distrutte nella stazione di Lydda; due membri del personale, un soldato e un poliziotto restano uccisi. Uno dei dinamitardi, Yehiel Dresner, viene giustiziato per altri crimini. |
1945, 27 dicembre | 3 poliziotti britannici e 4 soldati sotho uccisi durante l’attacco con bombe al quartier generale britannico del CID a Gerusalemme; 1 soldato britannico ucciso durante l’attacco al campo dell’esercito britannico nel nord di Tel Aviv. |
1946, 22 febbraio | Distrutti 14 aerei in 5 basi della RAF. |
1946, 22 luglio | 91 persone uccise nell’attentato dinamitardo al King David Hotel (che era il quartier generale britannico); per lo più civili, personale dell’hotel o segreteria: 41 arabi, 15-28 cittadini britannici, 17 ebrei palestinesi, 2 armeni, 1 russo, 1 greco e 1 egiziano. |
1946, 30 ottobre | 2 guardie britanniche uccise con colpi di arma da fuoco e una bomba alla stazione ferroviaria di Gerusalemme. |
1946, 31 ottobre | Attentato dinamitardo all’ambasciata britannica a Roma; quasi la metà dell’edificio viene distrutta e 3 persone restano ferite. |
1946, 13 novembre | 6 agenti di polizia palestinese (2 inglesi, 4 arabi) uccisi nell’attentato dinamitardo ad una di linea ferroviaria. |
1947, 1 marzo | 17 ufficiali britannici uccisi nell’attentato dinamitardo al Circolo Ufficiali di Goldschmidt. |
1947, 12 marzo | Un soldato britannico ucciso durante l’attacco al campo di Schneller. |
1947, 18 giugno | Un membro dell’Haganah ucciso da una trappola esplosiva da lui stesso preparata mentre sigillava un tunnel scavato da Irgun per far saltare in aria la sede britannica a Citrus House, Tel Aviv. |
1947, 19 luglio | 4 luoghi all’interno di Haifa sono attaccati, uccidendo un agente di polizia britannico e ferendone altri 12. |
1947, 29 luglio | 2 sergenti britannici rapiti ed impiccati. |
1947, 4 agosto | Due bombe nascoste in una valigia esplodono nel seminterrato dell’Hotel Sacher a Vienna (Quartier generale dell’esercito britannico). |
1947, 5 agosto | 3 poliziotti britannici uccisi nell’attentato all’ufficio del Dipartimento del Lavoro britannico a Gerusalemme. |
1947, 9 agosto | Un tecnico ferroviario ebreo ucciso nell’attentato dinamitardo al treno Cairo-Haifa. |
1947, 12 agosto | 1 soldato britannico ferito nell’attentato dinamitardo al treno militare Londra-Villach fuori dal tunnel dei Tauri vicino a Mallintz, in Austria. Una seconda bomba non esplode, entrambe avevano lo scopo di far deragliare il treno lungo una ripida scarpata. Nessun ferito da un’altra esplosione fuori dall’ufficio del comandante del campo britannico a Velden. |
1947, 26 settembre | 4 poliziotti britannici uccisi durante una rapina in banca. |
1947, 29 settembre | 10 morti (4 poliziotti britannici, 4 poliziotti arabi e una coppia araba) e 53 feriti nel quartier generale della polizia di Haifa; una tonnellata di esplosivo in un barile utilizzata per l’attentato compiuto il primo giorno di Sukkot per evitare vittime ebraiche. |
1947, 11 dicembre | 13 morti in un attacco a Tireh, vicino a Haifa. |
1947, 12 dicembre | 20 morti, 5 feriti per l’esplosione di un barile riempito di esplosivo alla Porta di Damasco a Gerusalemme. |
1947, 13 dicembre | 6 morti, 25 feriti per bombe collocate all’esterno del cinema Alhambra. |
1947, 13 dicembre | 5 morti, 47 feriti da due bombe alla Porta di Damasco. |
1947, 13 dicembre | 7 arabi uccisi (tra cui due donne e due bambini di 3 e 4 anni) e altri 7 feriti gravemente (due donne e 4 ragazze tra loro) in un attacco a Yehudiya; 24 uomini di Irgun attaccano il villaggio, sparando e lanciando granate; anche un blindato della polizia britannica viene incendiato. |
1947, 16 dicembre | 10 morti per una bomba al Cinema Noga di Jaffa. |
1947, 29 dicembre | Due agenti di polizia britannici, 11 arabi uccisi e 32 arabi feriti per bomba lanciata da un taxi alla Porta di Damasco di Gerusalemme. |
1947, 30 dicembre | 6 arabi uccisi e, 42 feriti dalle granate lanciate nella raffineria di Haifa. |
1948, 1 gennaio | Due arabi uccisi e 9 feriti in un attacco con armi da fuoco a un caffè di Jaffa. |
1948, 5 gennaio | 14 arabi uccisi e 19 feriti da camion bomba fuori dal “Serrani”, il municipio di Jaffa. |
1948, 7 gennaio | 20 arabi uccisi da una bomba alla Porta di Giaffa. |
1948, 10 febbraio | 7 arabi uccisi vicino a Ras el Ain. |
1948, 18 febbraio | 12 arabi uccisi e 43 feriti in un mercato di Ramla. |
1948, 1 marzo | 20 britannici uccisi e 30 feriti nell’attentato al Bevingrad Officers Club. |
1948, 9-11 aprile | 107-120 arabi uccisi e massacrati (stima generalmente accettata dagli studiosi, invece il primo numero annunciato era 254) durante e dopo l’attacco al villaggio di Deir Yassin vicino a Gerusalemme, da parte di 132 membri di Irgun e 60 della Banda Stern. |
1948, 6 aprile | 7 soldati britannici, tra cui l’ufficiale comandante, uccisi durante l’attacco al campo dell’esercito di Pardes Hanna. |
1948, 25-30 aprile | L’operazione Hametz: bande Irgun occupa diversi villaggi arabi intorno a Jaffa, e in seguito respingono un tentativo britannico di sloggiarle dal villaggio di Menashiya. |
Fonte:en.wikipedia.org
20 Febbraio 2024
L’Antico Testamento e il genocidio a Gaza
di Gilad Atzmon
“Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno dinanzi a voi colpiti di spada. Cinque di voi ne inseguiranno cento, cento di voi ne inseguiranno diecimila e i vostri nemici cadranno dinanzi a voi colpiti di spada.”
Levitico, cap. 26, vv. 7-9
“Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso e ne avrà scacciate davanti a te molte nazioni quando il Signore tuo Dio le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia.”
Deuteronomio, cap. 7, vv. 1-2
“Non lascerai in vita alcun essere che respiri, ma li voterai allo sterminio come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare.”
Deuteronomio, cap. 20, v. 16
Gli studiosi della Bibbia non nutrono molti dubbi sul fatto che la Bibbia ebraica contenga alcuni suggerimenti fortemente impregnati di immoralità, alcuni dei quali non sono altro che un’ invocazione al genocidio. Raymund Schwager, studioso della Bibbia, ha trovato nell’Antico Testamento 600 passi di violenza esplicita, 1.000 versi che descrivono le violente azioni punitive di Dio, 100 passi in cui Dio ordina espressamente di uccidere. A quanto pare, la violenza è l’attività più spesso menzionata nella Bibbia ebraica.
Per quanto possa essere sconvolgente, la saturazione di violenza e sterminio nella Bibbia ebraica può fare luce sul terrificante genocidio condotto al momento a Gaza dallo stato di Israele. In pieno giorno l’I.D.F. [l’esercito israeliano, n.d.t.] sta utilizzando contro i civili i metodi più letali, come se il suo principale obiettivo sia quello di ” votare allo sterminio” la popolazione di Gaza senza mostrare alcuna intenzione “di fare loro grazia”.
E’ interessante osservare che Israele guarda a se stesso come a uno stato secolare. Ehud Barak non è proprio un qualificato rabbino, e Tzipi Livni non è la moglie di un rabbino. Siamo pertanto autorizzati a presumere che in realtà non è il Giudaismo in sé che trasforma direttamente capi politici e militari israeliani in criminali di guerra.
Inoltre, i primi Sionisti credevano che all’ interno di una patria nazionale gli Ebrei sarebbero diventati “un popolo come tutti gli altri”, cioè civili e morali. Sotto questo profilo la realtà israeliana è piuttosto diversa. Gli ebrei laici forse sono riusciti ad abbandonare il loro Dio, molti di loro non osservano la legge giudaica, sono in larga misura laici, e nondimeno interpretano collettivamente la loro identità ebraica come una missione genocida. Sono riusciti con successo a trasformare la Bibbia da testo spirituale a certificato di cittadinanza intriso di sangue. Sono là, in Sion, cioè in Palestina, per invadere il paese e metterlo sotto chiave, affamare e annientare i suoi abitanti nativi. Di conseguenza, sembra che i comandanti di artiglieria e i piloti dell’aviazione israeliana che hanno cancellato la parte settentrionale di Gaza due notti fa stiano seguendo il Deuteronomio cap. 20 v. 16, stiano veramente “non lasciando in vita alcun essere che respiri.”
Eppure, una domanda rimane aperta. Perché un comandante laico dovrebbe seguire i versi del Deuteronomio o di qualsiasi altro testo biblico? Qualche sporadica voce all’interno della sinistra ebraica insiste nel dirci che l’Ebraismo non ha in sé tendenze assassine. Sono propenso a credere che essi stessi considerino le loro parole schiette e veritiere. Ma allora ci si può domandare che cos’è che rende lo stato ebraico di una brutalità senza confronti?
La realtà della questione è in verità abbastanza meschina. Per quanto ci è dato di osservare il Sionismo è l’unico collettivo ebraico ideologico e politico che si trovi nei paraggi, e come sta accadendo, questa settimana ha dimostrato ancora una volta di essere genocida fino al midollo. Per quanto concerne il genocidio, la differenza tra Giudaismo e Sionismo può essere illustrata come segue: mentre il contesto biblico giudaico è impregnato di riferimenti genocidi, solitamente in nome di Dio, nel contesto sionista, gli ebrei stanno uccidendo i palestinesi nel loro stesso nome, cioè di “popolo ebraico”. Questo è certamente il massimo successo della rivoluzione sionista. Insegna agli Ebrei a credere in se stessi. A credere nello Stato Ebraico. “L’ israeliano” è il dio di Israele. Perciò l’Israeliano uccide in nome “della sua sicurezza”, e in nome “della sua democrazia”. Gli Israeliani uccidono nel nome della “loro guerra contro il terrorismo” e nel nome della “loro America”. A quanto pare, nello stato ebraico, il soggetto ebraico ritorna all’omicidio di massa appena trova un “nome” da collegare a questo.
Tutto ciò non ci lascia in realtà molto spazio per fare ipotesi. Lo stato ebraico è la minaccia definitiva verso l’umanità e verso la nostra nozione di umanesimo. La cristianità, l’Islam e l’umanesimo si presentano come tentativi di riformare il fondamentalismo tribale ebraico e sostituirlo con un’etica universale. L’illuminismo, il liberalismo e l’emancipazione hanno permesso agli ebrei di affrancarsi dalle loro antiche peculiarità di supremazia tribale. Dalla metà del XIX secolo molti ebrei si sono liberati delle loro catene culturali e tribali. Assai tragicamente, il Sionismo è riuscito a riportare indietro molti ebrei.
Attualmente, Israele e il Sionismo rappresentano l’unica voce collettiva disponibile per gli Ebrei. Gli ultimi dodici giorni di offensiva spietata contro la popolazione civile palestinese non lasciano nessuno spazio per i dubbi. Israele è il pericolo più serio per la pace nel mondo. Senza dubbio nel 1947 le nazioni commisero un tragico errore fornendo a una mutevole identità orientata razzialmente l’ opportunità di stabilirsi in uno stato nazionale. L’obbligo morale delle nazioni è adesso quello di smantellare pacificamente quello stato prima che sia troppo tardi. Abbiamo il dovere di farlo prima che lo stato ebraico e le sue forti lobby in giro per il mondo riescano a spingerci in una guerra globale nel nome di una qualunque banale ideologia populista (democrazia, guerra contro il terrorismo, scontro di civiltà e simili). Dobbiamo svegliarci ora, prima che il nostro unico e solo pianeta venga trasformato in una bolla che scoppia di odio.
Traduzione di Mauro Maiorani
Gilad Atzmon, nato nel 1963, è un musicista jazz israeliano di fama internazionale, formatosi alla Rubin Academy of Music di Gerusalemme. La passione per la musica convive con quella per la scrittura. E’ noto per l’una e per l’altra.
Fonte: www.peacelink.it
Nota: il presente articolo è apparso l’8 gennaio 2009 su palestinethinktank.com, ma rispecchia in modo impressionante ciò che sta accadendo adesso in Palestina.
30 Gennaio 2024
DEMOCRAZIA
Nell’attuale periodo storico, in qualsiasi parte del mondo la parola più osannata in tema socio-politico è “democrazia”. Riesumata durante la rivoluzione francese, dopo un sonno di molti secoli, dai filosofi “illuministi” (attenzione a questo sostantivo, che già ha un suono inquietante), venne associata ai concetti che, alla faccia della mattanza e del bagno di sangue che furono provocati da essa (si calcolano da due a due milioni e mezzo di morti, di cui alcune decine di migliaia fraternamente ghigliottinati), divennero il motto di tale rivoluzione: liberté, égalité, fraternité (libertà, uguaglianza, fraternità).
Col tempo alla parola “democrazia” furono via via collegati tanti altri concetti altamente etici, quali ad esempio il mantenimento della pace (altra parola magica di questi mala tempora), la salvaguardia dei “diritti dell’uomo”, la libertà di pensiero e di parola, ecc., ecc., al punto che oggi criticare o addirittura parlare male di essa equivale ad urinare nell’acquasantiera.
Ma è proprio così?
La precisa risposta a tale domanda si può ottenere, dopo essersi liberati da preconcetti e fumose formulazioni teoriche che non hanno alcun riscontro nella realtà, esaminando obiettivamente il significato della parola e confrontandolo con i fatti e gli avvenimenti storici reali di cui essa e i suoi sostenitori sono stati i protagonisti.
La parola “democrazia”, che trae origine dal greco e fu coniata nella Grecia classica, letteralmente significa governo del popolo. Già questo dovrebbe far capire ad una persona di normale buon senso, scevra da pregiudizi e condizionamenti esterni, che si tratta di un’utopia, o, per dirla più semplicemente, di una pura scemenza: quando e dove mai il popolo ha governato se stesso, e del resto come avrebbe potuto materialmente farlo se non in comunità composte da venti o poco più individui? Ed infatti, già allora, riscosse il giudizio negativo dei due più insigni filosofi greci: Platone ed Aristotele.
Ma i sostenitori della “democrazia” hanno pronta la risposta: il popolo non governa se stesso direttamente (democrazia diretta, che, qualora fosse realizzabile, produrrebbe verosimilmente solo enormi danni al popolo stesso), ma lo fa attraverso i suoi rappresentanti, liberamente eletti (democrazia indiretta o rappresentativa).
Allora, però, si tratta di qualcosa di ben diverso: non governo del popolo, ma governo dei rappresentanti – candidati dai partiti politici – di una parte del popolo, che potrebbe essere maggioritaria, ma potrebbe anche non esserlo ed infatti nella realtà quasi mai lo è. A titolo di esempio, per chiarire: nelle ultime elezioni politiche italiane il partito della Meloni, poi chiamata a rivestire la carica di presidente del consiglio, ha ottenuto circa il 26% dei voti validi, la coalizione che la sostiene poco meno del 44%, ma se si tiene conto che ha votato meno di 2/3 del corpo elettorale, tali percentuali si riducono rispettivamente al 17% circa e al 29% circa degli aventi diritto al voto; e ciò vale per qualsiasi elezione, ovunque avvenga. Quindi definire tale forma di governo “democrazia”, ovvero governo del popolo, è una iperbole ed in definitiva pura ipocrisia, intesa come atto di mentire consapevolmente per conseguire vantaggi politici e sociali e di sostenere princìpi che vengono sistematicamente disattesi.
E proprio da tale ipocrisia è permeata la storia degli Stati “democratici”.
Gli Stati Uniti d’America sono considerati il modello per eccellenza della “democrazia”, la terra della libertà, del rispetto dei diritti dell’uomo, ecc., ecc.. Ma dal loro farraginoso sistema elettorale scaturisce un governo che ben poco ha a che fare con la volontà del popolo. In teoria, come amano dire, chiunque potrebbe diventare presidente, ma in pratica – è un dato di fatto – tale carica è stata sempre ricoperta da miliardari che, avendo ben poco d’altro di cui occuparsi, si dedicano alla politica per soddisfare la propria ambizione personale. Lo stesso dicasi per coloro che vengono eletti membri del Congresso: si tratta quasi esclusivamente di “paperoni”, che, grazie al loro patrimonio personale e all’appoggio finanziario dei gruppi che detengono il vero potere dietro le quinte, possono manovrare ed indirizzare a loro piacimento il corpo elettorale, venendo a loro volta manovrati ed indirizzati da quegli stessi gruppi di potere che ne hanno permesso l’elezione. E questo, ovviamente, vale ancor di più per colui che ottiene la carica di presidente, ovvero di formale capo dello Stato. Ne deriva che l’azione di governo è solo apparentemente esercitata dai “rappresentanti (di una parte) del popolo”, ma di fatto lo è dai gruppi di potere occulti che materialmente scelgono detti “rappresentanti” per servirsene poi in relazione al loro interesse, che non coincide affatto con quello del popolo, bensì è quasi sempre in contrasto con esso. C’è qualcosa di “democratico” in tutto ciò? Al di là della finzione proprio niente.
Se poi si volge lo sguardo alla politica estera degli Stati Uniti d’America nel corso della loro storia, si comprende come i conclamati princìpi etici che dovrebbero costituire il corollario della “democrazia” siano soltanto aria fritta, venendo essi costantemente aggirati e disattesi con artifici, menzogne e maneggi sotterranei.
Lo dimostra un rapido excursus cronologico della storia degli USA, fin dalla loro nascita lo Stato più aggressivo sulla faccia della Terra, la cui Costituzione vieta loro di attaccare per primi uno Stato estero, ragion per cui, al fine di aggirare tale divieto, i loro governi hanno escogitato quella che si può definire la “via democratica alla guerra”, ovvero l’arte di farsi attaccare, costantemente applicata in tutto l’arco della loro storia e che si attiene invariabilmente alle seguenti linee guida:
– la demonizzazione dell’ avversario;
– la montatura di pretesti per scatenare una guerra anche a costo di sacrificare la vita di numerosi connnazionali;
– la presuntuosa arroganza nel considerarsi portatori di una missione civilizzatrice da imporre con le buone o con le cattive al resto del mondo;
– la doppiezza di chi, mentre incolpa gli altri di crimini, violenze e nefandezze di ogni genere, nascostamente (e neppure tanto) commette azioni simili se non peggiori;
– l’ ipocrisia, di chi pur commettendo crimini, è sempre pronto a trovare ragioni per autoassolversi.
– Guerre indiane: insediamenti abusivi di coloni su territori appartenenti agli autoctoni. Quando questi ultimi perdevano la pazienza e reagivano con violenza interveniva la cavalleria che li sterminava, facendo strage di interi villaggi senza distinzione tra uomini, donne, vecchi e bambini (celebre il massacro del Sand Creek: donne col ventre squarciato e teste di bambini mozzate a colpi di sciabola) e relegava i superstiti in “riserve” inospitali, dove morivano per fame e malattie. Fu così che si realizzò la mitica “espansione ad ovest” dell’Unione e l’annessione di immensi territori già appartenenti ai “musi rossi” aggressori, che, da svariati milioni che erano, furono alla fine ridotti a poche migliaia di esemplari (democratico genocidio);
– Guerra contro il Messico (1846-1848), stessa tattica: insediamenti abusivi in Texas di coloni che poi spadroneggiano sugli autoctoni, considerati subumani e idonei solo al lavoro di bassa manovalanza al loro servizio ed arrivano a pretendere la secessione del Texas dal Messico per renderlo uno Stato indipendente, presupposto alla sua annessione da parte degli USA. Quando il governo messicano ovviamente reagisce, viene inviato l’esercito a difendere i “poveri” coloni, ma intanto la prima mossa l’hanno fatta i messicani, che in tal modo passano per aggressori. Ne consegue una guerra, in forte disparità di forze, con gli americani che conquistano Città del Messico e soffocano la successiva guerriglia con stragi, devastazioni di villaggi, rappresaglie e violenze di ogni genere nei confronti dei prigionieri e della popolazione civile. Al termine del conflitto gli USA si annettono circa il 50% del territorio messicano, comprendente le ricche regioni che costituiranno o amplieranno altrettanti Stati dell’Unione: Texas, California, Nevada, Utah, Nuovo Messico, Colorado e Wyoming.
– Guerra contro la Spagna: il 15 febbraio 1898, all’insaputa dell’equipaggio, agenti americani minano all’altezza della santabarbara la vecchia e obsoleta corazzata “USS Maine” ancorata nel porto di L’Avana (Cuba) e la fanno esplodere causandone l’affondamento e l’uccisione di 261 marinai. Dopo aver traccheggiato con finte inchieste, gli USA incolpano la Spagna dell’attentato e le dichiarano guerra, il cui esito, scontato date le deboli forze terrestri e navali che gli spagnoli potevano allora schierare oltremare, consentirà agli Stati Uniti la conquista delle Filippine, Guam, Porto Rico e il protettorato su Cuba. Nel corso del conflitto vengono diffuse false notizie su atrocità commesse dagli spagnoli, atrocità che verrano invece commesse realmente a iosa dagli americani (massacri e distruzioni di interi villaggi, uccisioni di prigionieri, fucilazioni di ragazzini, ecc.) per soffocare la guerriglia nelle Filippine. Dopo circa un secolo, ovvero nel 1987, gli USA ammetteranno ufficialmente che gli spagnoli erano estranei all’affondamento della “Maine”.
– Prima guerra mondiale: dopo aver violato senza esito gli obblighi imposti ai neutrali dal diritto e dalle convenzioni internazionali rifornendo di armi e quant’altro gli Stati belligeranti dell’ “Intesa”, gli Stati Uniti trovano (o meglio creano) finalmente il pretesto per intervenire in Europa a fianco di Inghilterra e Francia, che stavano perdendo la guerra: segretamente, caricano un ingente quantitativo di armi e munizioni sul transatlantico inglese “Lusitania”, in procinto di salpare da New York per la Gran Bretagna, trasformandolo così da nave passeggeri a legittimo obiettivo bellico e fanno in modo che i tedeschi lo vengano a sapere. Il 7 maggio 1915 l’U-20 intercetta la nave, che, violando il blocco imposto dai tedeschi, naviga 8 miglia al largo delle coste irlandesi e con un siluro ne provoca l’affondamento che causa la morte di 1.201 passeggeri, di cui 123 statunitensi. Negando che la nave trasportasse materiale bellico, inglesi e americani infiammano l’opinione pubblica e sobillano l’odio contro i tedeschi accusando la Germania di un crimine di guerra per avere massacrato dei civili (fu solo l’inizio di una vasta campagna denigratoria basata su pure menzogne: arrivarono persino a dire che i tedeschi avevano infilzato i neonati con le baionette, mozzato le mani ai bambini belgi, mutilato i seni delle donne e crocifisso soldati canadesi!; ma se un popolo è costretto a ricorrere a tali menzogne per screditare il suo nemico, ciò vuol dire che il suo nemico è assai migliore di lui) e, sempre sfruttando tale episodio, il presidente Wilson riesce, dopo due anni, a raggiungere l’agognato obiettivo di trascinare in guerra gli americani, che fino ad allora erano stati in stragrande maggioranza isolazionisti, con tanti saluti al “popolo sovrano”, ingannato e manovrato dai suoi rappresentanti. Nel 2014 alcuni sommozzatori hanno raggiunto il relitto del “Lusitania”, adagiato sul fondale marino ad una profondità di circa 100 metri, verificando che in stive non refrigerate la nave trasportava casse etichettate come formaggio, burro e ostriche, contenenti in realtà almeno quattro milioni di proiettili Remington fabbricati negli Stati Uniti.
– Seconda guerra mondiale: il presidente Roosevelt è in gravi difficoltà, il “new deal” si è rivelato un fallimento, la disoccupazione dilaga, l’economia è in crisi e tutto ciò compromette quello a cui lui tiene di più: la sua rielezione. Come uscire da tale palude? Semplice, provocare una guerra mondiale, che, con scarso rischio per gli USA data la loro posizione geografica, possa risolvere in un colpo solo tutti i suddetti problemi a spese di nemici e amici. Inizia così in pubblico a montare una vasta campagna diffamatoria e provocatoria nei confronti di Germania e Italia, sostenuta da tutti i “media” e basata su pure menzogne, arrivando persino a dichiarare, tra le altre fandonie, che gli Stati fascisti si stavano preparando ad invadere ed occupare il Sudamerica, mentre in segreto preme, alternando lusinghe e minacce, sulle poco convinte Inghilterra e Francia affinché esse muovano guerra alla Germania e sulla Polonia affinché provochi la stessa Germania fino alle estreme conseguenze (il tutto documentato dai rapporti degli ambasciatori polacchi a Washington, Londra e Parigi: v. “La guerra di Roosevelt” nella sezione Storia di questo sito) ed alla fine ottiene il risultato voluto: la guerra in Europa è iniziata. Deve però risolvere un altro problema: farsi attaccare per giustificare il proprio intervento, al quale, secondo i sondaggi, era contrario l’80% degli statunitensi. In aperta violazione della neutralità, rifornisce massicciamente di armi la belligerante Inghilterra e arriva persino a far scortare i convogli inglesi che attraversano l’Atlantico da navi da guerra americane, alle quali dà ordine di attaccare con bombe di profondità, in acque internazionali, i sommergibili tedeschi e italiani, che dànno la caccia a detti convogli, per indurli a reagire. Germania e Italia non abboccano ed allora sposta la sua attenzione dall’Atlantico al Pacifico e prende di mira il Giappone, già impegnato in Cina, vessandolo con tutta una serie di provocazioni e provvedimenti ostili, appositamente studiati e programmati, che privano l’Impero del Sol Levante di qualsiasi alternativa alla guerra. Si arriva così a quello che gli americani chiamarono “il giorno dell’infamia”, definizione assolutamente corretta, salvo il fatto che i veri infami non furono i giapponesi, ma i governanti USA, i quali, pur essendo al corrente dell’imminente attacco a Pearl Harbour, che causò circa 2.500 morti tra gli yankees del presidio, non fecero nulla per impedirlo, anzi era proprio quello che volevano per avere la possibilità di entrare in guerra, non solo col Giappone, ma anche con Germania e Italia, che del Giappone erano alleate. Roosevelt aveva così raggiunto il suo obiettivo: la guerra mondiale, che, complici i due farabutti suoi simili (Churchill e Stalin) e violando tutte le norme del diritto e delle convenzioni internazionali, condusse commettendo crimini, in modo particolare nei confronti della popolazione civile e dei prigionieri di guerra, tali che per trovarne nel corso della storia altri di comparabile efferatezza (ma non entità) bisogna risalire ai tempi di Gengis Khan. Il tutto accompagnato, come al solito, da una martellante campagna menzognera e denigratoria nei confronti degli Stati fascisti, la quale trovò la sua apoteosi nella trovata delle “camere a gas”, che, proprio perché demenziale, riscosse enorme e duraturo successo (meno riuscite quelle dei paralumi e delle saponette, rispettivamente fabbricati con pelle e grasso d’ebreo, quella delle piastre elettriche per friggere gli ebrei e altre amenità simili). Di positivo ci fu soltanto che non visse abbastanza a lungo per cogliere i frutti dei suoi misfatti, perché schiattò prima che la guerra finisse; furono invece i suoi degni eredi a farlo.
– Guerre contro l’Irak: governato da Saddam Hussein e dal partito Ba’th, l’Irak era uno Stato moderno, efficiente, ben ordinato e ben amministrato, culturalmente e socialmente avanzato e ricchissimo di petrolio, ma era nel mirino degli USA perché costituiva una ricca preda e, ancor di più, perché rappresentava una seria minaccia per lo Stato di Israele. Nell’agosto del 1990, dopo aver ricevuto un ambiguo benestare dalla diplomazia USA, Saddam Hussein, per ragioni politiche, militari ed economiche, ordinò al proprio esercito l’occupazione del Kuwait, che si realizzò in 24 ore con minimo spargimento di sangue. Le reazioni degli altri Stati dell’area mediorientale, però, indussero gli americani ad un completo voltafaccia, supportato ovviamente da false accuse di atrocità commesse dagli iracheni (ben nota è l’intervista, che fece il giro del modo, rilasciata da una giovane sedicente infermiera, la quale raccontò commossa e in lacrime in televisione che i soldati di Saddam erano entrati nell’ospedale pediatrico in Kuwait e avevano rovesciato a terra le incubatrici, facendo morire i neonati in esse contenuti. Quasi tutta la stampa mondiale spese inchiostro per far versare lacrime. Si seppe poi che questa commediante era la figlia quindicenne dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, mai stata in Kuwait, istruita e arruolata da una grossa società di pubbliche relazioni in America per la grande messa in scena a supporto propagandistico dell’intervento americano); voltafaccia che, tra il gennaio e il febbraio 1991 si tradusse nell’attacco americano all’Irak, anche con l’ausilio di truppe coloniali europee e di altri continenti, che consistette dapprima in massicci bombardamenti aerei nel corso dei quali fu deliberatamente colpito il rifugio antiaereo n. 25 nel quartiere di Al-Amirya a Bagdad. Nel rifugio vi erano circa 1000 persone, quasi tutte donne, bambini e vecchi. Almeno 408 di esse furono ridotte in cenere. A mo’ di giustificazione gli americani sostennero – e non era vero – che il rifugio ospitava un non ben precisato comando militare (insomma, un po’ come gli ospedali di Gaza adesso). Quindi partì l’offensiva terrestre conclusiva di quella poi chiamata prima guerra del Golfo. Saddam Hussein, però, era rimasto al potere, facendo perdurare l’angoscia degli americani e degli israeliani, cosicché nel 2003 il presidente George Bush figlio decise di portare a termine l’opera iniziata dal padre. Anche a lui, però, occorreva una motivazione altamente morale per giustificare l’intervento e, non potendola trovare nemmeno su “amazon”, decise di fabbricarsela in casa. Così gli USA iniziarono a strepitare su fantomatiche “armi di distruzione di massa”, ovviamente mai esistite, di cui Saddam Hussein sarebbe stato in possesso e inventarono gesti terroristici che agenti di Saddam avrebbero compiuto in America, spargendo e spedendo lettere all’”antrace”, una sostanza pericolosa per le vie respiratorie, una fialetta della quale fu drammaticamente sventolata sotto il naso dei membri del Congresso americano dal segretario di Stato Colin Powell. Bastarono poi 4 o 5 lettere all’antrace per spargere il terrore negli USA e giustificare la guerra. Il gioco riuscì: l’Irak fu seppellito sotto un tappeto di bombe, completamente distrutto, in preda a miseria e rovine e in balìa di sétte armate e di continui attentati terroristici che provocarono centinaia di migliaia di morti tra la popolazione, retto da un governo fantoccio senza alcun potere e tuttora in tale stato si trova. Anni dopo si seppe che l'”antrace” era uscita da laboratori controllati dalla CIA. Le due guerre del Golfo hanno prodotto solo morte, devastazione e instabilità politica e gli americani si sono impantanati nell’inferno da loro stessi creato; l’unico a trarne beneficio, a spese degli altri, è stato – guarda caso – Israele, che ha visto eliminata una temibile minaccia.
– Invasione dell’Afghanistan: l’intervento in Afghanistan rientrava da tempo nel programma degli USA, ma per poterlo avviare occorreva una adeguata motivazione morale da presentare all’opinione pubblica. L’occasione di confezionare tale motivazione si presentò l’11 settembre del 2001, allorchè, sfruttando una scalcinata banda di arabi che, secondo la versione poi divulgata, erano terroristi legati ad Al Quaeda, che li aveva inviati a compiere attentati terroristici mediante il contemporaneo dirottamento di quattro aerei di linea (due Boeing 767 e due Boeing 757) da usarsi come bombe contro edifici di rilevante importanza, si ottenne il crollo delle “Twin Towers” del World Trade Center di New York oltre a danni di scarsa entità al Pentagono. Si trattò, anche in questo caso, di una colossale montatura di cui però tuttora non si conoscono i particolari del piano operativo, particolarmente complicato, anche perché – si dice – oltre alla CIA vi parteciparono servizi segreti stranieri (israeliani e/o sauditi). Come detto, due aerei centrarono rispettivamente i piani alti delle torri gemelle, uno colpì il Pentagono, mentre il quarto precipitò senza raggiungere il bersaglio, che, sempre stando ai si dice, avrebbe dovuto essere la Casa Bianca o il Campidoglio. Tale versione è stata giudicata non credibile da migliaia di analisti indipendenti, perchè presenta aspetti assurdi quanto alle modalità dell’azione e aspetti contrari alle leggi della fisica quanto ai risultati dell’azione stessa, giacché i crolli delle torri presentarono le caratteristiche tipiche della demolizione controllata (per i particolari: v. “11 Settembre” – Il grande inganno, nella sezione Libri di questo sito). Sta di fatto che quella che non a torto è stata ribattezzata la “seconda Pearl Harbour”, causando essa direttamente la morte di circa 3.000 persone e di molte altre in tempi successivi, diede il via alla guerra in Afghanistan, anch’essa una sporca guerra condotta per vent’anni con bombardamenti a tappeto, stragi di civili e di prigionieri, torture, stupri e violenze di ogni genere, senza ottenere alcun risultato utile, tanto che nel 2021 gli USA dovettero ritirarsi con la coda tra le gambe. Le migliaia di persone sacrificate per ottenere tutto ciò erano morte invano.
In conclusione, chi crede alle favole può continuare a crederci, ma il vero volto della “democrazia”, dietro la maschera dei conclamati princìpi etici, è inganno, menzogna e ipocrisia.
Giuliano Scarpellini
3 Novembre 2023
LAGER PALESTINA
di Enrico Marino
“Allah Akbar!” è il grido riecheggiato in tutto il mondo attraverso i video che hanno documentato le violenze dei militanti islamici contro donne, bambini, giovani di ogni nazionalità, massacrati o rapiti, il 7 ottobre 2023, mentre una valanga di missili si abbatteva su Israele. La stessa invocazione “Allah Akbar!” è risuonata nei giorni successivi sulle piazze arabe e sui social occidentali filo-islamici, per festeggiare l’aggressione di Hamas a Israele.
La risposta di Israele non s’è fatta attendere e, nell’attesa di una massiccia operazione militare di terra nella striscia nord di Gaza per debellare Hamas, lo stato ebraico ha proceduto a una fitta serie di bombardamenti che hanno riversato sul paese solo nei primi sette giorni un numero di bombe pari a quello rovesciato dagli americani in un anno in Afghanistan. Contemporaneamente è stato interrotto ogni rifornimento di acqua, gas e luce nel territorio palestinese, costringendo la popolazione a un esodo forzato e privando di ogni rifornimento anche le strutture ospedaliere. Allo stato attuale, cioè quello in cui scriviamo [23.10.2023 n.d.r.], l’azione israeliana ha già causato altre 4.000 vittime e centinaia di feriti tra la popolazione palestinese.
Questa forma di assedio totale ha sollevato molteplici dubbi e proteste, da parte di organizzazioni internazionali e società civile, sia per le denunce di comportamenti contrari al diritto internazionale, considerati crimini umanitari, sia per le ricadute negative che avrebbe prodotto sull’immagine di Israele nel consesso internazionale. Nei ripetuti richiami delle Nazioni Unite ai belligeranti si ricorda l’obbligo, vigente anche in stato di guerra, di rispettare il diritto umanitario internazionale, a cominciare dalla protezione dei civili. Come dire: anche la guerra ha delle regole. E prendere per fame e per sete una popolazione civile che già soffre il dramma del conflitto è azione disumana, ingiustificabile.
Questa situazione ripropone, peraltro, l’annoso e irrisolto problema della mancata creazione di uno stato palestinese autonomo sui territori occupati da Israele e della relazione fra il popolo palestinese e le formazioni che, di volta in volta, ne hanno assunto la rappresentanza politica e militare.
Quando si parla di Gaza e Cisgiordania, al di là di ogni pur necessaria ricostruzione storico politica, non si può prescindere dalla costatazione che la situazione dei palestinesi in quei territori è ristretta e sottomessa, oltre ogni decenza e dignità, in uno spazio dal quale non è consentito allontanarsi senza transitare attraverso varchi controllati e sottoposti alla giurisdizione di un potere estraneo, dal quale si dipende in tutto e per tutto anche per gli approvvigionamenti vitali energetici e di acqua. La vita in una riserva indiana nel vecchio Far West americano non doveva presentare grandi differenze da questa condizione di prigionia a cielo aperto in cui è costretta la popolazione palestinese nei territori occupati. Territori sempre più colonizzati da Israele con insediamenti illegali di kibbutz, che vivono una realtà da fortini installati in un territorio straniero e ostile, per cui ogni abitazione dev’essere dotata di una “defense room”, cioè una stanza blindata, presente per legge in ogni abitazione costruita dopo il 1992 e ancora più comune negli insediamenti vicini al confine, pensata per offrire un riparo sicuro durante gli attacchi con i razzi o con i missili, mentre l’intero kibbutz è dotato di una scorta militare a difesa. Questa non è una situazione normale ed è lo specchio della realtà che caratterizza una convivenza inaccettabile tra una popolazione sottomessa e soggetta a umiliazioni e il suo carceriere-occupante.
Una situazione che, con alterne vicende, si trascina dal 1948, dalla Nakba, ovvero “la catastrofe” in arabo, ricordata dai palestinesi ogni anno il 15 maggio, un giorno dopo la fondazione dello stato di Israele, perché rappresenta con la fuga di 700mila palestinesi il primo atto di un’odissea che, tra espulsioni ed espropriazioni, ha portato Israele a impossessarsi dei territori abitati da migliaia di arabi, espandendo i suoi possedimenti, con decine di villaggi palestinesi distrutti e ripopolati da insediamenti israeliani. Un esempio tra tutti è Giaffa, storica città araba, diventata un quartiere di Tel Aviv, la città israeliana fondata nel 1909 [a NE di Giaffa, perché i sionisti avessero un quartiere indipendente dall’antica città araba n.d.r.].
Da quella data, in un succedersi di guerre, intifade, “punizioni collettive”, attentati suicidi, rastrellamenti, uccisioni, espulsioni, demolizioni di massa, lanci di razzi e bombardamenti, finalmente l’11 settembre del 2005 fu ammainata l’ultima bandiera israeliana sulla Striscia di Gaza. Ma il paradosso di quel disimpegno israeliano fu che i palestinesi invece di ricevere l’agibilità di quel territorio vi furono rinchiusi.
Dichiarato “entità ostile” da Israele, il fazzoletto di terra palestinese è sottoposto a un blocco quasi ermetico dal 2007. È occupazione sotto un’altra forma, è il controllo a distanza. “L’idea è mettere i palestinesi a dieta, senza farli morire di fame”, spiegava Dov Weissglas, che dopo l’ictus di Sharon passò al servizio del nuovo primo ministro israeliano, Ehud Olmert. I nutrizionisti dell’esercito israeliano hanno calcolato la razione che permette di mantenere un abitante medio di Gaza appena al di sopra della soglia di malnutrizione: 2.279 calorie al giorno. Sulla base di questa stima lo stato maggiore ha stabilito che ogni giorno potevano entrare a Gaza 131 camion. Ma secondo l’Ong israeliana Gisha, specializzata nei problemi di accesso nella Striscia, spesso non si raggiungeva quel numero. Nell’idea dei militari israeliani, un popolo indebolito è meno portato a combattere, chi ha un problema di sostentamento ha minori energie da dedicare alla lotta politica e alle ambizioni di indipendenza.
Quelli che da decenni si esibiscono in condanne senza appello delle presunte malefatte dei nazionalsocialisti tedeschi avrebbero qualcosa da dover dire al riguardo, se non vivessero sotto una spessa coltre di ipocrisia e di vergognoso conformismo ideologico.
Chi afferma che il popolo palestinese è “prigioniero” di Hamas e usato cinicamente da questi dice solo una mezza verità, perché l’odio e l’esasperazione determinati dalla condizione in cui i palestinesi sono relegati da Israele hanno consentito la presa del potere da parte di Hamas e ne alimentano le file e ne sostengono la lotta.
Chi denuncia il progetto islamico della distruzione di Israele, trascura di considerare che chiunque fosse oppresso da decenni ambirebbe naturalmente alla distruzione del proprio oppressore.
Chi ricorre al trito ragionamento del necessario sostegno internazionale a Israele, in quanto “unica democrazia dell’area mediorientale”, dovrebbe anche spiegare quale titolo di merito possa avanzare un qualsiasi Stato che, nel dichiararsi “democratico” al proprio interno, agisca su piano estero come un qualsiasi regime predatorio, incurante del diritto internazionale e delle risoluzioni del consesso mondiale delle Nazioni Unite.
Chi afferma con comprensione “il diritto di Israele a difendersi”, è lo stesso che con troppa superficialità ignora la “conta dei morti”, cioè il prezzo in termini di vite umane drammaticamente squilibrato che questo diritto comporta.
Chi sostiene con intransigenza il diritto del popolo ucraino a difendersi e a non cedere lembi del proprio territorio nazionale, dovrebbe contemporaneamente spiegare perché questo diritto non dovrebbe parimenti valere per il popolo palestinese.
Infine, chi afferma che con Hamas non si tratta, perché con i suoi atti Hamas ha dimostrato d’essere un mostro, dovrebbe interrogarsi sulle cause e su coloro che quel mostro hanno contribuito a creare.
Fonte: www.ereticamente.net
28 Ottobre 2023
ISRAELE SI DIFENDE
Immagini degli effetti dei bombardamenti israeliani su obiettivi militari di Gaza: ospedali, scuole, moschee, chiese, uffici, negozi e abitazioni – Ottobre 2023.
AVVERTENZA: se in uno qualsiasi degli Stati democratici qualcuno pensasse erroneamente che tali bombardamenti costituiscano altrettanti crimini di guerra, si guardi bene dal raccontarlo in giro. Se lo farà, sarà immediatamente incriminato per incitamento all’odio e sostegno al terrorismo, additato al pubblico disprezzo, perderà il lavoro, sarà condannato ad anni di galera e i suoi beni saranno confiscati. E se poi si lamenta, sarà lapidato con le pietre d’inciampo. Il tutto, naturalmente, a salvaguardia della democrazia, di cui la libertà di pensiero e la libertà di parola sono i cardini. Almeno così dicono.